Ritorno a Nedungadu.
In viaggio con APIS

Ritorno a Nedungadu.
In viaggio con APIS

Il gruppo si era già delineato nel corso dei mesi, con qualche defezione all’ultimo momento… cosa che spesso accade quando ci si appresta ad affrontare un viaggio emotivamente così carico di imprevisti e di emozioni come quello in India. Da dieci che dovevamo essere restavamo in cinque. Teresa Izzo era per me una veterana già alla sua quarta esperienza in Tamil Nadu, un punto di appoggio importante in quanto era stata a fi anco a Domenico nella prima visita alla scuola di Nedungadu del 2012 e vi era anche ritornata in un secondo momento nel corso del suo ultimo viaggio in Tamil Nadu.

Mio zio Demetrio Annibali era stato con me nel primo sopralluogo a Nedungadu del 2014 e aveva preso visione del campo incolto dove avrebbe dovuto sorgere la scuola… ed ora sarebbe stato presente alla sua prima inaugurazione. Violetta Sieli sarebbe arrivata solo in un secondo momento. Dulcis in fundo Veronica Pennisi, anche lei del gruppo degli amici di Palermo si era aggiunta all’ultimo secondo…

Era la piccoletta del gruppo: l’unica alla prima esperienza in India ad avere una età inferiore (e di molto) a quella di tutti gli altri partecipanti: 23 anni! È diventata ben presto la nostra mascotte e colei attraverso la quale vedevamo e rivivevamo la nostra mitica “prima volta in India”! Per lei abbiamo cercato di essere più presenti e attenti del solito, mostrandogli il meglio e i più significativi aspetti del mondo indiano. Lei, grazie alla sua capacità di adattamento e di empatia con la realtà indiana è stata capace non soltanto di adattarsi fi n da subito al nostro modo di viaggiare, ma è diventata anche testimone appassionato e entusiasta di quanto vissuto insieme…

Tra i suoi mille ricordi (che di certo resteranno sempre scolpiti nella sua mente il giorno della inaugurazione resta uno dei più belli e toccanti vissuti…

Erano solo trascorsi pochi giorni dal nostro arrivo in Tamil Nadu quando ci siamo diretti verso la zona di Nedungadu, un’area di villaggi nel distretto di Pondicherry dove avverrà l’inaugurazione della nuova scuola costruita dall’Apis.

Ci svegliamo prestissimo percorrendo la strada con il nostro fedele pulmino bianco. Attraversiamo campi di riso e zone paludose, mentre il sole si fa alto sopra l’orizzonte. Sono ancora i miei primi giorni in questa terra stranissima e sconosciuta, che ancora comprendo poco, ma che mi ha già emozionato innumerevoli volte. Dal finestrino si spalanca il paesaggio indiano, sempre così variegato e cangiante: il caos della città ha lasciato spazio al verde fitto della campagna, e penso che allontanarsi dalla capitale sia stato come un getto d’aria fresca nel bel mezzo di una giornata afosa.

Più tardi mi renderò conto che è proprio nelle campagne che è custodita la “vera India”, quella più rurale, più semplice, più antica, fatta di bambini che rincorrono i copertoni delle biciclette con le canne di bambù, di donne che raccolgono l’acqua dal pozzo, di uomini che lavorano nei campi di riso. Ci fermiamo a fare colazione in una scuola salesiana incontrata lungo il cammino. È prestissimo ancora, ma gli studenti sono già lì in attesa, tutti schierati e perfetti nelle loro divise bianche e blu: le bambine portano fi ori intrecciati fra i capelli sistemati con cura certosina, i bambini ci osservano con i loro grandi occhi neri, in un silenzio strano che non ritroverò mai nelle mie classi in Italia. Lo so perché sono una giovane insegnante nata e vissuta a Palermo.

A colazione, spizzichiamo pane chapati e chicchi di melograno, almeno finché i padri salesiani – sempre sorprendentemente gentili e onniscienti – non ci servono una piccola torta per festeggiare il compleanno della nostra amica Teresa. Risalendo nuovamente sul nostro mezzo riprendiamo la strada, lasciandoci alle spalle quell’angolo di paradiso per raggiungere la scuola di Nedungadu che si fa ogni minuto sempre più vicina.

C’è un’ansia palpabile nell’aria, perché l’inaugurazione di oggi è un momento importante, certamente uno dei motivi principali di questo viaggio. Lo so persino io che sono la “piccola” del gruppo. Federica ripassa il suo discorso mentalmente, e noi altri quattro attendiamo. Dopo aver macinato altri chilometri, finalmente Isaac (il nostro driver) si ferma, i portelloni si aprono e noi smontiamo giù.

Ad accoglierci è Jayapalan, Ispettore Provinciale di Chennai. Ci porta subito ad inaugurare la scuola nuova e le classi appena costruite. La struttura non del tutto terminata è a due piani, molto grande e ognuna delle dieci aule è spaziosa e dotata di belle finestre ed è provvista all’esterno di una targa di ringraziamento intestata a chi, dall’Italia, ha contribuito a finanziarle; si tratta di quattro scuole italiane che ricompongono da nord a sud il territorio nazionale: la scuola Carlo Lona di Opicina, la primaria di Monte San Pietro vicino Bologna, quella del Convitto Nazionale di Assisi, in provincia di Perugia, e una ultima dedicata proprio a una scuola di Capaci, in Sicilia, non molto lontana dalla mia amata Palermo.

La quinta aula ricorda la parrocchia salesiana romana di Santa Maria Liberatrice. Una presenza del tutto naturale in questa stessa realtà salesiana indiana A Federica, presidentessa dell’Apis, viene chiesto di presenziare alla piccola celebrazione mentre le aule vengono benedette ad una ad una da Padre Raphael Jayapalan. Alle nostre spalle un gruppo di ragazzi e ragazze più grandi canta in coro e presenzia con grande serietà e compostezza.
 
Abbiamo il tempo di visitare tutta la struttura compreso il secondo piano ancora da terminare e di vedere tanti manovali all’opera, che continuano a
costruire l’edificio pure nel giorno di festa dell’inaugurazione e sotto il sole cocente ed impietoso dell’India, anche se siamo in gennaio.
 
Quando facciamo ritorno alla vecchia scuola che dista poche decine di metri dal nuovo edificio ci attende un’altra grande sorpresa. Centinaia di ragazzi e ragazze di tutte le età sono già seduti a gambe incrociate davanti ad un palco dietro al quale campeggia la scritta: “Benvenuti Miss Federica Annibali, president Apis and members of Apis, Italy”.
 
Otto bambine vestite interamente di bianco ci aspettano e lanciano petali al nostro passaggio mentre la piccola banda dei bambini suona e un gruppo di ragazzi ci precede con le bandiere e delle fasce colorate al fianco. Profumate corone di fiori ci vengono poggia- te sulle spalle mentre la nostra fronte viene segnata dall’inconfondibile pappa cremosa di pigmento rosso utilizzato per imporre il bindi sulla nostra fronte, simbolo antico di buon auspicio e di benvenuto prima di un evento importante. Il piccolo cortei ci accompagna sino al palco ben allestito per l’occasione. Appena ci accomodiamo sulle sedie preparate per noi e per l’ispettore i bambini cominciano il loro programma che hanno preparato con cura per questa occasione di festa: canti e danze tradizionali eseguiti con cura e grazia sia da bambi- ni che dalle bambine.
 
Sto sperimentando per l’ennesima volta, forse nel modo più eclatante, la grandezza dell’ospitalità indiana. È difficile non sentirsi a disagio di fronte a tante attenzioni e a tanta cura; viene da pensare di non meritarselo, e la sensazione di inadeguatezza davanti a tanta disponibilità non ha mai smesso di accompagnarmi durante tutto il viaggio. Eppure, quando Federica è salita sul palco e ha fatto il suo discorso, men- tre alle sue spalle campeggiava l’immagine di Domenico Catarinella, ho capito che era semplicemente l’India che stava rispondendo “grazie” a suo modo. A lui è stato dedicato un lunghissimo minuto di silenzio nel quale tutti noi e anche tutti i bambini hanno chiuso gli occhi e dedicato un pensiero.
 
Viene probabilmente difficile da capire tutto questo per noi che siamo da sempre abituati ad avere una classe con un solido pavimento sotto i piedi, un soffitto sopra la testa e dei banchi comodi sui quali scrivere.
 
Ci sono delle cose che inevitabilmente diamo per scontate, ma che in India, si sa, è una pura benedizione ricevere. È sorprendente assistere ad uno scambio tale di risorse, di cura e di “voler bene” tra individui che vivono a migliaia di chilometri di distanza e che neanche si conoscono. Mi sono sentita davvero fortunata ad averne fatto parte anche solo un po’. E allora anche in me si è impiantato, come un seme buono, un senso di profonda gratitudine nei confronti di tutte quelle persone che lo hanno reso possibile. Perciò ancora oggi, a distanza di mesi, mi viene da dire: “Nandrì”: grazie, India. 
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